TRENTEMØLLER
MARTEDI 25 FEBBRAIO 2014 - ore 21

POSTO UNICO: 15 euro + d.p.

Apertura cancelli ore 20

Prevendite:
www.ticketone.it
www.greenticket.it

Info:
www.anderstrentemoller.com


Uno degli artisti più preziosi della scena elettronica contemporanea: definizione perfetta per il danese Anders Trentemøller. Al contrario di molti suoi colleghi dj e producer che iniziano la loro carriera nei dancefloor e lì restano, col loro successo legato magari a doppio filo alle mode del momento, l'artista scandinavo da ormai quasi un decennio porta avanti un percorso assai personale nella (re)interpretazione degli stilemi digitali.

Indubbiamente i suoi primi passi significativi nascono nell'alveo della house e della club culture, con ad esempio le release sulla prestigiosa label Poker Flat di Steve Bug, ma ben presto Trentemøller si dimostra molto più difficile da catalogare di molti suoi pari ruolo. Non solo la raffinatezza della architetture ritmiche, ma anche la sensibilità nel calibrare arrangiamenti e pennellate melodiche e la visionarietà nell'immaginare strutture compositive molto lontane dai luoghi della musica con la cassa in quattro lo rendono subito un fenomeno a sé, raccogliendo i favori di un pubblico sempre più trasversale.

I suoi tre album (“The Last Resort”, 2006; “Into The Great Wide Yonder”, 2010; “Lost”, 2013) disegnano una progressiva ascesa verso un microcosmo sonoro personalissimo, dove ogni particolare è cesellato con cura assoluta e dove l'equilibrio dinamico diventa quasi un esercizio zen, il tutto con una ricchezza espressiva ed emozionale davvero rara. Anche il regista Pedro Almodovar ne è rimasto sedotto, come testimonia l'uso della traccia “Shades Of Marble” nel trailer e nella colonna sonora del film “La pelle che abito”; così come ne sono rimasti sedotti i Depeche Mode, che hanno voluto il live set dell'artista danese in apertura alle date europee del loro “Delta Machine Tour”.

Un live set, quello di Trentemøller, che rende alla perfezione la ricchezza del suo universo sonoro, aggiungendo anche – com'è giusto che sia – ulteriore impatto “fisico” alle sue creazioni. Il tutto evitando rigidamente soluzioni scontate o luoghi comuni, e utilizzando i linguaggi di house, techno e post rock non come riferimenti rigidi ma come piattaforme da cui lanciarsi verso territori onirici e rari da esplorare.

BIOGRAFIA

Nel mare magnum della musica elettronica, spesso confuso o pieno di mode effimere, la figura del danese Anders Trentemøller risplende di luce propria: una luce mai scontata, fascinosamente complessa, pronta ad alzare sempre di più (e in modo sempre più inaspettato) il livello della sfida artistica, tra poesia e attitudine “cosmica”. All'epoca dei suoi esordi, nel 2005, il rischio – davvero paradossale – era di confonderlo per uno dei tanti nomi legati alla scena minimal techno tedesca: gli inizi sono infatti legati ad alcuni 12” usciti per la Poker Flat di Steve Bug, etichetta fra le più autorevoli in campo tech-house. Subito dei grandi successi, a partire da “Physical Fraction”, per proseguire con “Solar Shift” e “Sunstroke”. Ma che Trentemøller fosse in realtà ben di più di un abile creatore di congegni da dancefloor apparve chiaro prima con l'esordio su lunga durata, “The Last Resort” (2006), e poi con la conseguente tournée live, dove ai software veniva affiancata la presenza umana di batteria, basso e chitarra. Gli stilemi house e techno venivano dilatati, resi visionari, frastagliati, soprattutto acquisivano un'anima in grado di parlare tanto col prog rock e derive indie quanto con l'ambient o la techno di Detroit.

Da lì in avanti è un susseguirsi di riconoscimenti e nuove produzioni (ad esempio il doppio “The Trentemøller Chronicles”, monumentale raccolta di remix, inediti e b-side): diventa uno dei remixer più richiesti al mondo (Depeche Mode e Franz Ferdinand, giusto per fare due nomi, e nel secondo caso ottiene addirittura una nomination ai Grammy Awards), affina una capacità di creare mondi “altri” unica, in grado di travalicare i luoghi comuni di genere, si tratti di techno o di suggestioni più legate all'indie rock. Il 2010, dopo un anno di intenso lavoro in studio, porta l'lp “Into The Great Wide Yonder”, che lui stesso definisce come la sua più ambiziosa sfida sonora. Un lavoro alla ricerca di “...dinamiche ancora più potenti, di un suono ancora più caldo e avvolgente: sono molto orgoglioso del risultato, è un perfetto manifesto della mia personale concezione di quello che la musica dovrebbe essere – una questione di coraggio, non di generi codificati”.




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